NEL SILENZIO E NEL LINGUAGGIO

Intervista a Luciana La Stella

A cura di Floriana Porta





1) La poesia non possiede la verità, eppure la verità è fra le parole. Lei crede in un legame di coincidenza piena tra poesia e verità?

Il tema della verità è insito nella poesia, si può dire che la domini nella sua pienezza ed essenza sin dalle sue origini. Spesso la verità simula un’apparenza che svela per così dire un mistero nella sua essenza e domina la scena proprio nell’interezza del verso o dell’aforisma.

Interessante la posizione di Gianni Vattimo tra poesia ed estetica, che ci esorta sulla poesia che non dice la verità a livello della proposizione corrispondente all’oggetto, ma in qualche modo “dice”, ovvero esprime, rappresenta. Paul Klee ci insegna che l’arte, che possiamo paragonare alla poesia, non è imitazione, semmai è presentazione del visibile, del gesto stesso del vedere e non sua didascalia e che essa apre alla genesi, seguendo il tragitto verso il cuore della creazione in accordo con le vie della natura.(1)

Ci domandiamo allora cosa sia la verità, una domanda spesso seguita dal silenzio: la verità non è un fatto che sta “dietro” o “sotto”, ma il senso di ciò che ci appare. 

È proprio lo sguardo, quell’occhio che Klee chiama brulicante perché si sposta dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra per meglio vedere, capire comprendere. La verità non è infatti una convenzione ma un modo di percepire e così la poesia nel suo dire apprendiamo quello che per noi è vero e che si manifesta interiormente come conosciuto o riconosciuto proprio nel verso o nell’espressione apparentemente nuova ma che porta una verità intrinseca.

Al di là del virtuosismo, del linguaggio apprendiamo una voce che è propria e che non si può scegliere, né confondere. Non si tratta di dire la verità ma d’incarnarla, di stare inermi nella sua apertura: una sorta di heideggerismo light messo in evidenza in  Essere e tempo, dove nella chiacchiera o nella mondanità si cerca l’essenza del vero, ma in realtà anche nella chiacchiera mondana si può trovare qualcosa di vero. 

Così nel verso o nella narrazione la corrispondenza della verità a volta eccede ma possiamo prendere per vero quello che sentiamo riflettere in noi: in tal caso il verso o la frase sono connaturati e coincidono.

La verità, nella tradizione metafisica, è stata sempre intesa come il rispecchiamento di un dato, l’adeguazione alla presenzialità dell’essere: da una parte l’essere nella sua già data, già completa presenza, e dall’altra il pensiero che tenta di rispecchiarlo, e che tuttavia in questo rispecchiamento non aggiunge nulla all’essere. Da questo punto di vista la verità riprendendo il pensiero di Vattimo può essere vista come evento, come “l’aprirsi di orizzonti storici entro cui gli enti vengono all’essere” e, come tale, essa deve accadere e “non è nulla al di fuori o al di sopra di tale accadere". 

La verità è, in latri termini, la posizione di un mondo, di un orizzonte di significati entro cui si può dare vita, storia, cultura, sviluppo: la verità coincide, niccianamente, con le condizioni di affermazione della volontà di potenza, come dispiegamento di senso e di mondo. Così la poesia può coincidere con l’essere, nella sua struttura di presenza, nelle sue declinazioni potrà percepire quella verità che a volte appare evanescente ma pur essente.  Nella metafisica regna il principio attraverso il quale “nulla si crea e nulla si distrugge”: l’essere come la verità si stratifica e aumenta, nella misura in cui accade di mostrarsi in nuove e diverse lingue e contenuti, espressioni di novità e del sentire. L’incontro con la poesia come con l’opera d’arte si può definire sia da un punto di vista del contenuto sia da un punto di vista formale e in tal caso questo può sottintendere una verità che possa conformarsi al dato oppure al vero come correttezza e coerenza sintattica ma è possibile affermare che ci mette in tal senso in contatto con la verità: il nostro occhio senziente potrà percepire proprio il senso della verità che si rispecchia internamente.

Se la concezione di verità non è più quella di rispecchiamento, ma di accadimento la poesia ed anche l’opera d’arte, ci conducono nell’apertura di un nuovo mondo, che intrattiene con la verità un rapporto non estrinseco: la verità si mostra ed è possibile, e si può coniugare proprio con la sensazione che produce interiormente. D’altra parte la verità della poesia non può essere la fedeltà a quanto già detto e scritto, ma un legame con l’essere e con il mondo che si manifesta nelle sue infinite visioni e interpretazioni in cui ogni essere ha la possibilità di esprimersi in un proprio vero autentico che di per sé rappresenta la verità che si possa condividere o meno, ma reste nella sua forza originante che la determina.


2) Jacques Lacan scrisse "Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno". Quel qualcuno è l'Altro o si contrappone ad esso?

La frase di Lacan che “il linguaggio prima di significare qualcosa, significa per qualcuno”, ha avuto un’eco incredibile in effetti spesso possiamo dire di essere del tutto smarriti di fronte alla pandemia che come la guerra ci ha lasciato attoniti e sconvolti e le parole non ci rassicurano o non riescono a consolarci o a rinfrancarci: è difficile ritrovarsi in un labirinto e cercare l’uscita.

Già in questo comprendiamo come a volte la comunicazione possa generare equivoci e smarrimento, si avverte la necessità di potersi affidare e fidare di qualcuno. Tanto si potrebbe dire del linguaggio che a volte ha diviso le persone, i sentimenti, il progresso e abbiamo bisogno di percepire che quanto ci viene detto ci sia utile e ci aiuti ad orientarci. In tal caso parlando di Lacan ci affidiamo alla psicoterapia che, pur se non può dire tutto di tutto è una esperienza di parola. L’oggetto quindi non è più l’inconscio ma le produzioni discorsive all’interno di una situazione comunicativa estremamente delimitata.

Nel dialogo e nel parlare c’è l’Altro che può essere che quel qualcuno che a volte si contrappone ma a volte si integra e riesce a sciogliere qualche perplessità allora la parola acquista il suo senso e il suo significato. Non c’è contrapposizione ma c’è una dimensione di ascolto che si alterna nel linguaggio e la parola ha il suo significato. Lacan dice che “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”, è qualcosa di innovativo nel suo pensiero. L’essere umano è determinato dal linguaggio; è in altri termini, determinato dall’inconscio ci dice Lacan e perde quella dimensione individuale per divenire impersonale.

Per indicare la collocazione comune all’inconscio e al linguaggio, Lacan inserisce il termine Altro, non inteso come uomo ma come luogo; “luogo di dispiegamento della parola”, altro da sé. L’esteriorità del simbolico rispetto all’essere umano è la nozione stessa di inconscio ed il senso del decentramento operato da Lacan. Se procediamo con la domanda del significato del linguaggio possiamo dire che lo stesso ci riconosce e di definisce spesso nell’ambito della comunità come soggetto, in tal caso la persona deve sottomettersi per così dire ad una legge sociale veicolata dal simbolismo linguistico, dal nome di parentela e altro. Lacan parla ad esempio del dramma della follia che situa nella relazione del soggetto con il significante, e che esprime l’effetto finale della mancanza di simbolizzazione. Il soggetto non è mai tale senza il riconoscimento dell’Altro, al quale pertanto sospende la sua stessa esistenza in un gioco incrociato di domande dove, al tempo stesso, si realizza e si smarrisce.

Allora quel Qualcuno o l’Altro in tal caso sono affini e il linguaggio può divenire armonioso o ostativo: trovo che la creatività del dire significhi per se stessi e a questo punto per qualcuno perché senza il riconoscimento l’essere resta solo.


3) Morandi è il pittore del silenzio, sempre in bilico tra l’informale e l’astrattismo. Il silenzio, come un velo, ne preserva la bellezza?

Nell’inquadrare Giorgio Morandi come pittore del silenzio, possiamo riprendere quel suo carattere schivo e solitario, che lo ha accompagnato tutta la vita e portato a non lasciare quasi mai la sua città. Sappiamo che ha dipinto per tutta la vita nella sua casa studio, probabilmente proprio per questo viene identificato come il pittore del silenzio. È importante ricordare che nonostante la sua vita solitaria però Morandi ha vissuto nel suo tempo creando forti legami con numerosi artisti italiani come Bacchelli, Raimondi, Carrà e Longanesi.

Qualcuno ha detto che è possibile viaggiare per il mondo e non vedere nulla, in effetti per raggiungere una data comprensione delle cose e degli eventi è necessario esserci e guardare attentamente quel che si vede. Questa definizione di pittore del silenzio la percepiamo nelle opere che realizza e che sono caratterizzate da analisi accurata e da ricerca formale metodica e rigorosa. In tal senso nel guardare queste opere percepiamo questo silenzio. Le sue opere non si legano a uno stile preciso, sono opere immote, dal significato profondo, la natura morta di Morandi simboleggia la vita, l’esistenza, lo scorrere inesorabile del tempo e la solitudine.

È esattamente in questo che percepisco quel silenzio salutare all’anima, all’interiorizzazione, alla riflessione; il pubblico lo ha definito “il pittore delle bottiglie” e le bottiglie di stampo antico, di modelli oggi in disuso, esse compaiono sovente nella sua opera. Isolate o in gruppi, come piccoli greggi in cui ogni cosa individua intiepidisce della vicinanza dell’altra. 

Morandi aveva ricordato che nel cortile della casa dove aveva abitato da bambino teneva il suo deposito un rigattiere, che raccoglieva anche bottiglie usate, e che quei fragili tesori erano stati nel passato i suoi giochi.“ Rivedo l’azzurro petroso di una bottiglia, un azzurro denso, opaco come il latte e la presenza del tempo filtrata in quegli oggetti, assidua e tuttavia ormai di sé dimentica. Quel vetro aveva assimilato il tempo e pareva segretamente patirlo e quella polvere era come la rassegnazione di quel contenuto patire”.

Questo ricordo più di tante suggestioni velano la bellezza che porta alla luce quel silenzio e quel rapporto tra il formale e l’astrattismo: la sua opera si orienta su un motivo che volge tra il crepuscolare e qualcosa di ermetico. Si delinea così, un mondo di sottigliezze e di finezze interpretative dentro espressioni d’arte all’apparenza sin troppo semplici e semplificate, e tuttavia così dense e complesse ​da farci capire perché il grande pubblico ne ha avuto per molto tempo una certa diffidenza, incapace di intendere come gli umili oggetti d’ogni giorno, ben evidenti nelle opere di Morandi, mostrino una persistenza talvolta persino inquietante, questo mostra come gli oggetti a volte in tal senso così ben descritti riescono a descrivere i sentimenti che ci hanno fatto provare. In tutto questo il silenzio è il testimone di questo senso interiore che parla internamente a gran voce e che ci risveglia al tempo dell’esserci. È così che Morandi "tocca il fondo, l'essenza delle cose", che travalica la contingenza di ognuna di quelle scene semplici, per prendersi confidenza con l'assoluto.

Con questo approccio la sua lingua dice qualunque cosa, con la stessa universalità di una poesia o di una biblioteca al pari di Borges. Gli oggetti di Morandi si toccano e si parlano, all’interno di un quadro e tra un quadro e l’altro, e non è affatto detto che dobbiamo capire sempre cosa si dicano o perché si tocchino. Lasciamoci attraversare dal silenzio e quegli oggetti sembrano dirci di Morandi e di come si adattano al nostro sguardo e al nostro pensare.

Questo potremo dire quello che rappresenta il suo cubismo e, al tempo stesso, tutto l’infornale e il suo astrattismo. Forse Morandi è il pittore più astratto che sia esistito, non rappresentando altro che questi dialoghi fra cose che si dicono cose di cui non sappiamo niente, e certamente si dicono di tutto dell’artista del silenzio.


1   Cfr. C. Fontana,  Fenomenografie. Paul Klee e il segreto pittografico della creazione in I.D.Paul Klee, Preistoria del visibile ,Silvana Editoriale 1996, p. 97.​




LUCIANA LA STELLA

Psicoanalista, Presidente OPIFER APS (Organizzazione Psicoanalisti Italiani, Federazione e Registro), Iscritta all’Albo degli Psicologi e abilitata alla professione di Psicoterapeuta, iscritta all’Albo dei Giornalisti della Lombardia e direttore di Psicoanalisi e dintorni (Rivista Scientifica registrata presso il Tribunale di Milano), Direttore della Collana Inconscio e Società in NeP Edizioni. Laureata in Economia, Filosofia e Giurisprudenza, ha conseguito l’Executive Master MBA in Bocconi. Interessata da sempre ai diversi saperi e alla multidisciplinarietà, con l’obiettivo di un’integrazione tra i metodi scientifici e la ricerca, al fine di una sempre maggiore apertura alla conoscenza e alla sperimentazione. Frequenta da oltre venti anni il centro Studi Assenza e collabora con Paolo Ferrari nell’ambito della ricerca da lui condotta. È partecipante di SLP (Scuola Lacaniana di Psicoanalisi). È membro, tramite l’Associazione di Ricerca Sotto la mole di Torino, del lavoro degli Psicoanalisti portato avanti dall’I-IAEP (Inter-Asociatif Europeen de Psychoanalis) e del lavoro psicoanalitico dell’Area Mediterranea. È docente MIUR nelle Scuole di Formazione in Psicoterapia e Psicodramma.



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