DENTRO UNA PAROLA C’È TUTTO L’UNIVERSO - EMILIO PAOLO TAORMINA

Intervista a Emilio Paolo Taormina

A cura di Floriana Porta




La scrittura poetica fa parte della sua vita da sempre. Può raccontarci il suo rapporto con la poesia?

Floriana, talvolta mi chiedono il significato di una poesia ed io non so rispondere, perché non lo so neanche io. Posso spiegare il meccanismo da cui mi nasce “quella cosa chiamata poesia”: sento dentro di me un rumore, un fruscio, un ronzio, un frullo, uno scorrere d’acqua, il rotolio di una biglia. Due o tre parole cominciano a girare per la mente, quando le parole diventano un’unica cosa con la musica la poesia è fatta. Non so dire altro. E del resto la poesia esiste in fieri, come possibilità, diventa realtà con la partecipazione fantastica, la sensibilità e l’intelligenza del lettore. La poesia è in divenire, è una, dieci o centomila. Nel rapporto pagina lettore, non sarà mai uguale.

Il mio incontro con la scrittura è stato molto precoce. Mio padre era medico e per diletto entomologo. Io, nato durante la guerra, ero stato contagiato dal tifo ed avevo una salute molto cagionevole. Il nonno materno del mio babbo era stato il grande entomologo di fama europea Enrico Ragusa. Oggi le sue collezioni di coleotteri e lepidotteri, si trovano al Briths Museum. Fu fondatore e finanziatore di “IL NATURALISTA SICILIANO”, che ospitò studi scientifici italiani e stranieri . Mio padre mi portava nelle gite entomologiche per farmi respirare l’aria buona, lo vedevo prendere appunti e disegnare in un quaderno telato come quello che adoperavano i fattori. Lo volli anche io. Fu così che cominciai ad appuntare pensieri e impressioni e a riempirmi gli occhi del miracolo della bellezza degli insetti e della natura. A vederla con un occhio più attento e meditativo ero come tutti i bambini del mondo, saltavo e correvo, ma bastava darmi carta e matita e diventavo buono.

Sono nato a Palermo nel 1938. Ottantasei anni sono una briciola nella storia, ma in questo secolo la scienza e la tecnica hanno avuto un'accelerazione e un ampliamento che ha cambiato il rapporto dell'uomo con la realtà: lo ha reso violento e, nel suo veloce scorrere, frammentario. Per forza di cose un uomo della mia generazione è nella situazione di chi, un tempo, varcava l'oceano, una specie di emigrato che si deve adattare a situazioni nuove: è nello stesso tempo beneficiario e vittima del così detto 'progresso'. Pur condizionato dai tempi non ho saputo resistere alla mia indole di uomo libero ed ho dedicato la mia vita alla scrittura. Da piccolo ero pericolosamente curioso. A tre anni provai a costruire una radio in una scatola di scarpe, aggrovigliando fili elettrici trovati nel ripostiglio Provocai un cortocircuito e una paura da infarto a nonna Paola. Durante le vacanze estive varai la pila per lavare la biancheria come una barca nella vasca per l’irrigazione. Mi salvò il mezzadro che aveva fatto il militare in marina. Ma quando fummo fuori dall’acqua mi diede un calcio nel sedere. Dopo questo esordio dico subito, e a scanso di equivoci, che la mia scrittura è fortemente ancorata alla realtà, nel senso che non sono capace di scrivere nulla che non ho vissuto, ed ha due filoni fondamentali: la memoria e la ricerca della parola come mezzo di reinvenzione e di creazione della realtà mediante la sensibilità estetica. Sono istintivo, direi quasi animale nella percezione, non conosco altra realtà se non quella in cui vado a sbattere la fronte, da qui deriva il mio modo dispotico e anarchico d'interpretare il mondo. Una situazione di conflittualità creativa tra quella ch'è una specie di istintualità conservativa e di una scienza del verbo che per la sua stessa esistenza vuole plasmare la realtà con la sua sensibilità. È un po' la tela di Penelope quello che tesse la memoria scuce l'alchimia del verbo. Eppure senza la vita vissuta non verrebbe fuori nulla. Quando sono nato non c'era la penicillina, nel '44 gli Alleati erano sbarcati in Sicilia da un anno, mi salvò da un'infezione tifoidea, non c'era la televisione, arrivò a Palermo nel '56, i voli aerei erano riservati ad una ristretta élite, era impensabile che l'uomo un giorno avesse potuto passeggiare sulla luna, non avevo l'idea di che cosa fosse un'autostrada, non c'era il computer e internet era nella mente di Dio. Io sono un uomo timido portato a osservare il lento scorrere della natura, ma per sopravvivere e non essere sopraffatto ho dovuto adattarmi. L'adattamento è un segno di forza istintuale e d'intelligenza, ma è in sé una limitazione della libertà perché pone delle condizioni al moto dell'animo. Da questa situazione nasce la mia immedesimazione e attaccamento alla natura, dove Dio, l'uno comprensivo di tutto, è immobile e inalterabile, come la parola primogenita che ci avvicina a Dio ed è, nel suo scorrere nel tempo, creatrice. In questo mio credo c'è forse un problema di cromosomi e di aria respirata in famiglia. Mio padre, come ho detto prima, era entomologo per diletto e amante dell'ambiente. Il nonno era stato il celebre Enrico Ragusa, il maggiore naturalista siciliano dell'ottocento e tra i maggiori d'Europa. Ci sono uomini che lasciano un segno ed io in famiglia respiravo questo amore per la natura; ma l'amore per la natura non è un idillio, ma lotta per la vita nel senso antico della frontiera e della conquista ed anche, trasferimento dell'io in un altrove, presenza tangibile del Creatore, che riunisce all'Uno mediante la parola tornata all'origine creatrice. Ricordo il primo viaggio della mia vita, dico viaggio, da Altofonte, dove la mia famiglia era sfollata per i bombardamenti, a Palermo. Dei preparativi e del viaggio ricordo tutto. Di un viaggio non è importante la distanza ch'è relativa alla nostra conoscenza, ma il fascino dell'ignoto. Ogni agave, ulivo, macchia di rovi, coniglio che fuggiva zigzagando nel maggese, era una Ciclade azzurra e indecifrabile che si stampava nella mia mente. Provavo l'emozione di un esploratore. Ricordo tutto, come se un abracadabra spalancasse la luce dei diamanti nascosti nel ventre della terra o svelasse i misteri di un tesoro sepolto nella tomba di un faraone. Ricordo tutto: la buffa sonagliera del mulo, il rotolìo delle ruote del carro sulla trazzera, l'odore del toscano del carrettiere, gli occhi di mia madre come un'eternità, i primi capelli bianchi della sua maturità, il mio attaccamento feroce al suo calore, lo stupore dell'alba che mi svelava un nuovo mondo. Quello poteva essere lo zero, il nulla da cui nasce l'universo. Fa parte del mio DNA e della mia essenza “la curiosità di tutto e verso tutto. Una parola non è solo quello con cui noi approssimativamente definiamo. Dentro una parola c’è tutto l’universo, la pace, la guerra, la sete, la fame, il sole, la neve. C’è un labirinto, una tela di ragno che ci possiede. Talvolta ho la sensazione di non avere un corpo e una pelle ma che colori, suoni, odori, scaglie di ghiaccio e di sole, si siano accumulate sulla mia pelle e mi abbiano plasmato.

Questo era il contesto di una Sicilia solare, mitica, patriarcale, misteriosa, con un aroma nel suo paesaggio di dei pagani, in cui muovevo i primi passi nella vita. In questa terra pareva che nulla potesse succedere o fosse mai successo, eppure da Archimede a Pirandello il vento aveva gonfiato la vela della cultura. Ed ancora c'erano i grandi fatti sociali, politici, drammatici che agivano e interagivano sulla realtà che mi scorreva intorno e si fotografavano nella mia mente: la seconda guerra mondiale, i bombardamenti diurni e notturni, la banda Giuliano, Portella delle Ginestre, il referendum monarchia o repubblica, il separatismo, la regione Sicilia. Io sono di una generazione in cui ogni uomo aveva un DNA culturale assolutamente individuabile e personale. Oggi gli uomini hanno un minimo comune multiplo per il quale si possono inquadrare e capire: la televisione e i mass media. Forse la televisione e internet sono la più grande tirannia e rivoluzione che ha avuto come oggetto l'uomo. Io sono di una generazione diversa. La mia filosofia è un albero genealogico ed inizia con mio padre e mia madre che mi hanno messo al mondo e continua con la terra e l'aria in cui ho cominciato ad esercitare i miei sensi. Non mi posso negare una certa istintività animale, capacità ancestrale o come la chiamano: intuizione che mi fa cogliere l'essere ancora prima che abbia forma di pensiero. E devo dire che al di là di quello ch'è l'uomo, la sua storia e il suo sangue, ci sono nella creazione artistica dei meccanismi ignoti all'artista anche se animato e tormentato dall'ansia di fare chiarezza in se stesso. C'è un lato oscuro e trascendentale nella mente che la ragione non riesce a ridurre in dato razionale. Chi conosce i meccanismi che portano il rabdomante a individuare la presenza dell'acqua nel sottosuolo? La poesia, quindi l'arte per eccellenza, ha una componente nella vita e nella storia umana e civile dell'artista che dà l'imput alla creazione, ma ha anche un lato oscuro e misterioso: l'intuizione non riducibile ai dati della ragione e poi ha un lato dominante che sono la scienza e la ricerca dell'artista cioè gli strumenti del fare poesia. Non si è poeti per caso, ma per implacabile volontà di ricerca. Il mio laboratorio comincia da alcuni strumenti indispensabili allo scrivere o da oggetti che esercitano su di me suggestione: eccentricità quasi rituali o abitudini meccaniche sviluppate allo scopo di concentrarsi per esercitare la scrittura. Ho dei quaderni di appunti di tutti i tipi e per tutte le circostanze, alcuni li fabbrico artigianalmente da me stesso con carta di varia provenienza che riutilizzo. Il taccuino più resistente alle intemperie, più maneggevole e, direi quasi fedele come un cane, è stato il moleskine di fabbricazione francese. Oggi non si produce più. Metto pure molta cura nella scelta di matite, biro e penne. Sul mio tavolo di lavoro ce n'è una scorta incredibile, dovunque ne porto con me almeno due. Gli strumenti dello spirito sono: l'ispirazione, la memoria, la coscienza d'essere un artista e il canto. L'ispirazione è l'input che detta il primo verso e lo stato d'animo di consapevolezza che porta alla conclusione. Relativamente alla memoria posso dire che ho un apparato sensitivo- mnemonico fortemente sviluppato: i colori, gli odori e varie sensazioni, hanno fatto crescere il mio corpo e ne vengono fuori immagini fresche e chiare. Naturalmente sono portato a pensare per immagini. Nella parola creare, nel mio orecchio e nel mio animo sento anche il senso di crescere. Il creare è un seme, un frammento che si arricchisce di continue sovrapposizioni come un chicco di grano che nel suo processo di crescita diviene spiga. L'ispirazione e il canto sono le qualità finali di un poeta. L'ispirazione, come ho già detto, è un input che dà un verso o un'idea ed è uno stato mentale molto speciale in cui si scrive una poesia. Col tempo ho imparato ad auscultarmi e indovino l'arrivo dell'ispirazione ch'è uno stato mentale molto libero e disinnescato dalle convenzioni. Il canto è la musica che rivestirà la poesia non ancora ideata, l'alvo ancor vuoto della poesia nella coscienza del poeta, ma sempre in attesa di essere fecondato ed è appunto quando si scatena questa musica libera e prepotente che la creazione comincia a gettare i primi semi, due tre parole, su cui poi cresce il canto. Io sono fatto così e non ho la pretesa di avere la formula esatta della poesia. Questa si adatta alla personalità del poeta. Io sono tutto questo tempo ed ho una vita privata, emotiva, sentimentale che s'è realizzata nella proiezione degli eventi sociali, politici e culturali che hanno scritto la storia degli anni che ho vissuto. Con la ricerca si può andare avanti e percorrere terreni inesplorati, ma inevitabilmente tutti siamo figli del nostro tempo. Personalmente ho le radici di un siciliano, dell'area occidentale, nato in una famiglia alto borghese. Il resto di me stesso l’ho fatto io. Anche se non ho mai guadagnato una sola lira con la scrittura, carmina non dant panem, esercito la professione di scrittore. Dico professione nel senso che la scrittura non la si può ricercare ed esercitare nel tempo libero, ma a tempo pieno.

Cos'è la poesia si chiede una generazione di artisti dopo l'altra. Invero non c'è un canone a cui è riconducibile la poesia, se avessimo la formula esatta della poesia non avremmo più bisogno di ricercarla, ce la troveremmo in tasca confezionata in pillole. I veri poeti, quelli che fanno sentire gli aromi del proprio animo, sono rari. Quando in poesia si parla di correnti, ermetismo, parola innamorata, la poesia è già un fatto di moda nato sulle spoglie di un vero poeta etichettato e vivisezionato dalla critica. Un vero poeta è diverso dagli altri perché realizza la sua personalità che si traduce in uno stile fortemente individuabile. Un quadro di Van Gogh emana le vibrazioni dell'uomo ed è individuabile tra un miliardo di quadri. Modigliani non è un grande pittore per le donne che ha dipinto, ma per il modo, cioè lo stile in cui le ha dipinte. Ci sono infiniti modi di fare poesia. Io parlo con le parole e talvolta mi dicono cose diverse dal loro significato usuale come gocce d'acqua che vinta la resistenza delle molecole assumono nuova forma. Provo improvvisamente le scosse e sono attraversato da una musica, quando ho messo le parole a questa musica la poesia è fatta. Non scrivo a tesi e non dovrei dire altro. Ho il timore che dichiarare la propria concezione di poesia serva solo ai critici per inscatolare e infiocchettare l'autore in gabbie critiche. L'input che mi muove è la mia libertà di uomo che mi porta ad incontrarmi e a scontrarmi con idee e situazioni. Percorro una strada di veleni, ma inevitabilmente trovo la poesia nella vita, cercando di comprendere e di aprirmi a tutte le esperienze. Il poeta ha il suo laboratorio e la sua scienza. Un architetto elabora artisticamente degli elementi strutturali, funzionali ed estetici per porli in una costruzione; il poeta agisce sul divenire delle parole, per partecipare alla costruzione della realtà con la sua sensibilità estetica. Parlando, recentemente, con un amico poeta di cui ho sincera stima, Lucio Zinna, mi diceva che la poesia è un distillato, come il brandy è il risultato del torpido vino. In vero la poesia autentica è il risultato di diverse situazioni allo stato più elevato e raffinato, e là dove ci sono le qualità umane: la sensibilità, la concentrazione a captare e dominare il verso, l'ispirazione, la memoria, l'intuizione, la fiducia nei propri mezzi e il canto, sono necessari nel poeta gli strumenti e la scienza del 'mestiere di poeta. Date per scontate le qualità umane, il poeta agisce su un materiale speciale: la parola nel suo significato attuale approssimato a ciò che vuole definire, nei significati che si sono stratificati in essa e nel suo significato in divenire. Poiché le parole sono il mezzo per definire la realtà, il fine ultimo del poeta è quello di costruire la realtà con la sua sensibilità estetica, il mio personale scopo è quello di costruire una barriera contro l'arroganza e la brutalità.

 

EMILIO PAOLO TAORMINA

Emilio Paolo Taormina è nato a Palermo nel 1938. Sue opere sono state tradotte in albanese, armeno, croato, francese, inglese, portoghese, russo, greco, tedesco, spagnolo, ebraico. Ha pubblicato molti libri di poesia e sei romanzi, tra cui Archipiélago, ed. Plaza & Janés, con testo a fronte spagnolo di Carlos Vitale, Barcellona, 2002, Dopo Il fonografo a colori del 1970 ed. Siculiana, Palermo, ha pubblicato molti quaderni e libri con il logo l’arciere del dissenso e la Forum quinta generazione di Giampaolo Piccari. Da cinquanta anni non partecipa a premi letterari. In prosa ha pubblicato: Elvira des Palmes, Palermo 1991 (ristampa Giuliano Ladolfi, 2022), La pioggia di agosto, Marina di Patti, 1993, Il giusto peso dell’anima, Palermo, 1999, Inchiostro, Sesto San Giovanni. 2011, Passeggiata notturna, ed. l’arciere del dissenso. Le sue ultime pubblicazioni poetiche: Elvira des Palmes (Giuliano Landolfi Editore), Poesie scritte all'aria aperta (Giuliano Landolfi Editore), Il tempo lungo (Giuliano Landolfi Editore).


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